I momenti no…

Ce ne sono tanti di momenti “no” nel judo come in qualunque altra attività che richieda un certo impegno, è logico e normale.
Spesso le sfide più dure si affrontano proprio in palestra: corsi amatoriali nei quali, in alcune serate, non si presentano più di tre persone, lezioni con pochissimi bambini perché dilaga l’influenza, corsi di agonisti giovani che stanno preparando una gara, ma che devono prima mettere la scuola e quindi non riescono ad organizzarsi abbastanza bene da scavare un’oretta e mezza per far respirare la mente.

Che cosa fare in quelle situazioni? Non perdersi d’animo e non lasciar trapelare il giusto disappunto: è frustrante, ma non possono e non devono farne le spese quei pochi che hanno trovato la voglia di venire a lezione.
Reinventarsi. Spesso si ha un programma in testa, magari fatto su misura per gruppi mediamente numerosi; bisogna essere pronti a cambiarlo, in ragione di esercizi adattabili anche al singolo.

Essere disponibili a mettersi in gioco: lavorare con l’allievo, fargli da uke, rendere il clima piacevole e far percepire che a perderci non è mai chi è venuto in palestra, ma chi ha scelto di rimanere a casa!

Ciò che fa davvero la differenza e che accomuna ogni tipologia di corso, è la passione: se manca, prima o poi la noia e la routine subentreranno a quello che per i nostri judoka era un tempo lo sport più bello del Mondo. E’ importante riuscire a seguire un programma didattico che sia al tempo stesso ludico, formativo, completo e vario.

Se è vero che una stessa tecnica verrà spiegata diversamente da diversi insegnanti, che, presumibilmente, ne modificheranno minimi particolari per adattarla meglio al proprio stile e, se sono bravi, alle caratteristiche di chi avranno di fronte, è altrettanto vero che tutti noi abbiamo bisogno di stimoli sempre nuovi per divertirci. E più l’allievo è giovane, più ha bisogno di informazioni variegate, offerte in maniera piacevole, attraverso giochi o esercizi di breve durata e spendibili in tempi rapidi (nel senso che deve provare una certa soddisfazione a compiere gesti atletici alla sua portata, senza che gli vengano proposte sfide troppo lontane dalle sue potenzialità attuali) .

Queste affermazioni sono in contrasto con quanto affermato da molti ottimi Maestri, che invitano a non rincorrere i gusti di giovani e giovanissimi, corrompendoli per “riacquistare il prodotto”, ad esempio facendoli giocare a palla prima dell’inizio delle lezioni, in considerazione del fatto che il judo è una disciplina e non un mero sport? Forse. E’ innegabile che insegnando judo cerchiamo di trasmettere i valori culturali di una disciplina che deriva da un Paese, il Giappone, con tradizioni proprie che noi occidentali spesso fatichiamo persino a comprendere.

Tuttavia, i due aspetti si possono coniugare riprendendo il concetto di judo superiore e inferiore: il terreno può essere preparato gradualmente, trasmettendo, anche attraverso giochi con la palla, dei valori quali l’altruismo, l’amicizia, la condivisione, il rispetto.
Una volta che questi concetti siano ben permeati nella mente e nelle azioni degli allievi, saranno loro stessi ad interessarsi all’origine di quanto appreso in palestra, a cercare altre informazioni, a colmare eventuali vuoti e a tentare di accedere ad una cultura del judo che trascenda il solo studio tecnico finalizzato all’agonismo o all’apprendimento squisitamente meccanico del gesto.

Insegnare vuol dire anche questo: dare tempo al frutto di maturare, trattenendo l’istinto di coglierlo prematuramente dal ramo.

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