In molti chiedono se judo e karate siano affini e in che cosa si differenzino.
Il karate ebbe origine nelle isole di Okinawa (al tempo ancora appartenenti al Regno delle Ryukyu, annesso al Giappone alla fine del XIX secolo), sviluppandosi da ancor più antiche forme di combattimento che sembrano risalire al kempo praticato dai monaci del monastero buddista Shaolin in Cina. Il termine karate significa “mano vuota” e si riferisce al fatto che quest’arte marziale viene solitamente praticata a mani nude e senza l’ausilio di armi (sembrerebbe che la ragione sia da ricercarsi nel fatto che, per un determinato periodo, alla popolazione delle isole di Okinawa venne proibito di utilizzare qualunque arma per difendersi da attacchi di predoni o nemici in genere, ragion per cui venne sviluppato questo sistema di difesa). Tuttavia, la pratica del kobudo (antica arte marziale di Okinawa), strettamente legata al karate, prevede l’uso di un numero variegato di armi (come il Jo – bastone corto -, il bo – bastone lungo -, i nuchaku, che spesso vediamo nei film sulle arti marziali – due bastoni corti legati da una corda o catena -, il tonfa – una specie di manganello -, il sai – un bastone di media lunghezza, arrotondato, con due elementi più corti, anch’essi arrotondati, ai lati -, il kama – una specie di piccola falce con lama -.
Il karate venne portato dalle isole al Giappone durante i primi scambi culturali tra gli abitanti di Okinawa e i giapponesi. Inizialmente veniva praticato con addosso solamente una veste leggera che copriva parzialmente il corpo. Oggi viene usato il karategi.
Ciò che, agli albori, mancava a questa antica arte era uniformità: ciascun maestro aveva adattato le conoscenze delle quali disponeva piegandole alle proprie esigenze di insegnamento.
Fu il maestro Gichin Funakoshi a donare uniformità al karate: inviato a rappresentare l’isola di Okinawa in una dimostrazione di arti marziali a Tokyo, nel 1922, incontrò il Maestro Jigoro Kano, all’epoca importante membro del ministero dell’istruzione. Affascinato dallo stile del Maestro Funakoshi, il dottor Kano lo invitò a rimanere a Tokyo per divulgare la sua arte. Nacque così la tradizione Shotokan, uno stile di karate uniforme e moderno.
Vi invito ad approfondire la storia delle arti marziali (vi ho già consigliato l’interessante libro del Maestro Bruno Carmeni, ma esistono anche numerosi siti on line dove reperire informazioni): ciò che mi ha sempre colpito è l’intreccio continuo tra le diverse arti marziali. La nostra percezione occidentale ci porta a vederle sostanzialmente come sport da combattimento con un retaggio filosofeggiante che fa atmosfera… ma la complessità e la bellezza filosofica, storica e culturale che celano vi affascinerà, se avrete la voglia di avventurarvi alla scoperta delle loro origini e peculiarità.
Tornando a noi, la domanda iniziale inizia a trovare qualche risposta.
Mentre il judo prevede un contatto stretto tra i praticanti, il lancio a terra, in seguito a squilibrio dell’avversario, attraverso delle prese effettuate sul judogi (abito di chi pratica judo) e conseguente controllo al suolo, attraverso immobilizzazioni, leve articolari o strangolamenti, il karate, generalmente, porta a mantenere una certa distanza, abbreviata attraverso l’uso di colpi inferti con pugni e calci, portati in una successione di movimenti (kihon) ed eseguiti attraverso esercizi prestabiliti (kata).
Non tutti sanno o ricordano che anche nel judo esistono gli atemi, cioè gli attacchi per mezzo di pugni o calci, utilizzati prevalentemente nell’ambito dei kata e della difesa personale.
Ciò che accomuna judo e karate (oltre che, ad esempio l’aikido), è la parola “do”, che spesso non si pronuncia quando ci si riferisce al karate, ma che è di fondamentale importanza per capirne la filosofia di base.
Karate do, la via della mano vuota.
Ju-do, via dell’adattabilità.
Aikido, via che conduce all’unione ed all’armonia con l’energia vitale e lo spirito dell’Universo.
Tutte queste discipline sono fondate su una componente filosofico-spirituale, prima ancora che fisica e mirano ad un miglioramento complessivo dell’individuo, in un percorso di auto-perfezionamento costante, che si basa su valori non fini a se stessi, ma di utilità per tutta la società.
Judo e karate hanno dunque stili di approccio al combattimento molto diversi, ma obiettivi e radici strettamente comuni, sulle quali vale la pena di ragionare e che vi invito ad approfondire attraverso la pratica e lo studio.
Soltanto un’ultima considerazione: tra gli aspetti comuni delle arti marziali si trova la dicotomia continua di concetti, che porta ad una fusione armonica nel tutto. Yin e yang. Randori e kata. Pratica e studio. In molti ritengono di esser liberi di scegliere ciò che più apprezzano e dedicare il loro apprendimento esclusivamente all’aspetto agonistico o, al contrario, all’aspetto della forma e della filosofia. Il Maestro Kano aveva espresso la propria idea attraverso il concetto di un’integrazione costante tra kata e randori, tra studio della forma e pratica libera dell’esercizio. Fate sì che il vostro approccio alle discipline marziali sia il più completo ed elastico possibile. Judo, karate, aikido, le arti marziali in genere, comprendono anche l’elemento sportivo-agonistico, ma rimangono “arti”. Fate in modo che si comprenda e si veda la differenza.